Mercoledì 14 ottobre, ore dieci del mattino. Sono appena tornata da una passeggiata nei dintorni di casa. Ho visto che su al Brallo, all’Osservatorio, c’è già la neve. Qui no, siamo più bassi, la notte scorsa ha fatto solo quattro gocce. L’aria è fresca, umida, ma non veramente fredda. Mentre tornavo in frazione ho visto un fagiano. Era un maschio, l’ho capito dai colori. Ho continuato a camminare, ma piano, perché non volevo spaventarlo. Volevo vedere se si lasciava avvicinare… almeno un po’. Sono stata fortunata. Il fagiano si è inoltrato nella sterpaglia che costeggia il sentiero senza fretta e là in mezzo ho avuto il tempo di scorgere anche la sua compagna, che a differenza di lui ha invece preso la fuga.
Mi capita spesso di vedere degli animali. Lepri e pernici sono la normalità qui. Poi ci sono gli animali più grandi, come i cervi, che rimangono abbagliati dai fari dell’auto quando torno a casa tardi. Ci sono anche i cinghiali, tanti. E gli istrici, che non si fanno vedere ma in compenso si sono fatti fuori tutti gli iris e i bulbi che avevo da anni in giardino. Ci sono poi faine, volpi, talpe, e dicono anche i lupi, che però io non ho ancora visto. E ci sono insetti e uccelli di tutti i tipi, compresi i rapaci: l’aquila dei serpenti, per esempio, ma se si è fortunati, può scapparci anche l’aquila reale.
Tutto questo mi emoziona. Mi emoziona sempre. E mi attrae.
La maggior parte delle persone che viene in Val Trebbia, ci viene soprattutto d’estate, per il fiume. In questa stagione in montagna resistono solo i ciclisti e purtroppo anche diversi moto-ciclisti che si fiondano qui non solo dalle città vicine, ma anche dall’estero, dalla Germania, dove fare motocross nei boschi è Verboten!, cioè proibito. In cambio di quattro lire e di un miope turismo d’asporto, in questo paradiso naturale le amministrazioni locali gli consentono invece tutto.
Gli animali (e la flora, preziosissima anch’essa) restano sullo sfondo. Non visti, non apprezzati, misconosciuti.
Anche ieri pomeriggio ho fatto una breve passeggiata. Avevo passato la mattina a riordinare il ripostiglio giù nell’orto: gli attrezzi e anche le rimanenze di vernici, tutto quello che è andato o non uso più, e che devo portare in discarica. Mi ci è voluta qualche ora. Poi ho mangiato qualcosa. E poi mi è venuta di nuovo voglia di muovermi ̶ il cielo era così blu, il sole così luminoso… Già in frazione, ai lati del sentiero in salita, ho trovato a terra un grosso ramo di ciliegio che si era spezzato col vento chissà quando e tanta altra piccola legna in abbandono. Ho trascinato il tutto fin davanti a casa, e dopo giù dalla scaletta nell’orto, di fronte alla legnaia. Ho tirato fuori sega e falcetto, e mi sono messa al lavoro. A mano a mano che procedevo, dividevo il mio bottino in legni piccoli, da fascinelle, medi e grossi, che sistemavo ordinatamente sotto la tettoia. Ero felice. Mi sembrava di stare facendo qualcosa di essenziale. Immagino che per chi vive in città, come io stessa ho vissuto per molti anni, questo sia difficile da capire, quasi incomprensibile, sicuramente abbastanza naïf. Tra la “natura” e il “come si vive”, cioè il come quasi tutti vivono e vogliono vivere, mi rendo conto che c’è una distanza sempre più grande. Che tra la “natura” e i “governi” c’è un muro invisibile.
In casa, spesso accendo la radio (non ho la televisione). Mi perdo nelle cifre, nelle percentuali, nelle stime del PIL. È un bombardamento a tappeto, ininterrotto, di numeri. Ogni argomento è invariabilmente ricondotto a Nostra Signora Economia. Su tutti i canali, a tutte le ore del giorno. Sono sicura che sono in tanti a essere disorientati come me. M’incaponisco ad ascoltare comunque i radiogiornali e le trasmissioni di approfondimento, a leggere i giornali per cercare di “tenermi informata”. Da qualche tempo, però, mi sono data dei limiti. Faccio altro. Una delle cose che preferisco, specialmente nelle sere d’autunno, è prendere in mano un libro e allungare i piedi vicino alla stufa.
Se avessi dei bambini qui con me, questa sera gli racconterei dei fagiani. Gli racconterei che sono uccelli originari dell’Asia, stanziali e pacifici, in rotta soltanto nella stagione degli amori. I maschi, infatti, sono solitari, ma da metà marzo ai primi di giugno, nel periodo dell’accoppiamento, col loro splendido piumaggio e la lunga coda di sedici-diciotto penne possono arrivare ad attirare nel loro territorio fino a una decina di compagne. Negli altri periodi dell’anno, invece, maschi (poligami) e femmine (monogame) vivono in gruppi separati. Ai bambini direi, inoltre, di non prenderli troppo in giro, perché se è vero che i fagiani a volare sono delle schiappe, in quanto a corsa non sono secondi a nessuno. Dopo la schiusa delle uova ̶ la cova dura 24-25 giorni ̶ sono in grado di fare esercizio di volo nel giro di appena un paio di settimane. La madre, però, non li molla per almeno altri due mesi: vuole che in autunno siano capaci di cavarsela da soli in qualunque circostanza. La preoccupazione principale di tutti i fagiani è comunque mangiare. Si dedicano alla ricerca del cibo praticamente tutto il giorno e mangiano di tutto, ogni tipo di bacca, foglie, insetti e piccoli rettili. Questo li espone a diversi pericoli: dalle volpi rosse ai cani ai rapaci, i nemici mortali non gli fanno difetto. Ma se l’avere sensi sviluppati e l’accortezza di dormire sugli alberi sono una salvaguardia dai predatori naturali, di fronte all’imparità di un fucile tracotante e vigliacco non trovano, purtroppo, scampo.
… E in ogni caso stasera, ai bambini, non parlerei del PIL. Non credo, infatti, che lo troverebbero un argomento interessante. I fagiani lo sono molto di più.
P.S. In copertina: Archibald Thorburn (Scottish, 1860 – 1935), Cock and Hen – Common Pheasant.
Ottobre 18, 2020
Sig.ra Emanuela,
il suo è un bel racconto che attiene all’essenza e alla qualità della vita.
Paola Cosolo Marangon nel suo libro “La donna che rincorreva la nuvole” parla delle sue Dolomiti.
Riporto di seguito due frasi dei suddetto libro che dalla mia esperienza si adattano anche all’Appennino.
“Sono luoghi non solo di villeggiatura, ma dove è possibile ritrovare se stessi, riconnettersi con la natura, coi grandi silenzi, con la verticalità della roccia e la vicinanza delle nuvole, e soprattutto con la componente fantastica che vive in noi”.
“Attraverso sentieri e località, alla ricerca della bellezza, per non lasciarla sola, per condividerla”.
Novembre 1, 2020
Grazie!