Gli uomini uccidono. Gli uomini uccidono in guerra. Gli uomini uccidono per accaparrarsi potere e soldi o per ideologie politiche e religiose. Gli uomini umiliano, perseguitano, picchiano, stuprano e uccidono le donne, spesso le donne della loro stessa famiglia o le donne con cui hanno avuto una relazione.
Diamo un’occhiata ai dati.
Per l’anno in corso, alla data dell’8 agosto, si contavano in Italia:
- 54 femminicidi, 3 suicidi di donne, 1 suicidio di un uomo trans, 5 morti in fase di accertamento, per un totale di 63 morti,
cui devono essere aggiunti:
- 24 tentati femminicidi riportati nelle cronache online locali.
Il 53% dei casi ha avuto luogo in Lombardia, Lazio (17,5% c.u.), Emilia Romagna (9,5%) e Campania (7,9%).
Il 73% degli omicidi ha riguardato persone di nazionalità italiana. La restante percentuale è suddivisa tra diversi altri Paesi d’origine, tra i quali la Romania registra la percentuale più alta, 4,8%, seguita da Brasile e Cina, entrambi con un 3,2%.
Il 50% degli omicidi accertati è stato compiuto dal marito o dal partner, il 18% dal figlio, il 16% dall’ex marito/partner.
Il 39,6% delle vittime ha perso la vita per le coltellate inferte, il 22,9% a mezzo di armi da fuoco, il 10,4% è stato strangolato.
L’età media dei colpevoli o presunti tali è 53 anni: il più giovane aveva 17 anni al momento del delitto, il più anziano 88. L’età media delle vittime è 57 anni: la più giovane aveva 17 anni, la più vecchia 89.
Questi sono gli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio FLT (Femminicidi Lesbicidi Trans*cidi) di Non Una Di Meno, che oltre ai femminicidi monitora anche tutti i casi che riguardano persone trans, persone binarie e non binarie, persone intersex, persone di qualunque identità di genere e orientamento sessuale e affettivo uccise in Italia.
Le non-ragioni degli assassini sono lapalissiane. Si inquadrano «in una logica e pratica di possesso, di potere, di controllo, una pratica gerarchica che vuole annullare la libertà e l’autodeterminazione di ogni persona, di ogni individuo» e traducono una mentalità che è trasversale a tutte le classi sociali. Mi verrebbe da dire che è la logica della guerra applicata alle relazioni familiari/affettive, dove la prevaricazione è più facile e immediata. Dove le vigliaccate restano per lo più impunite. Dove si applica la dominazione del più forte fisicamente e molto spesso economicamente. Dove si stratificano vergogne, ricatti, paure, solitudine e un’impotenza che lo stato, con i pochi mezzi che mette a disposizione, non riesce a debellare.
Ma i femminicidi e, più in generale, gli omicidi di «persone di qualsiasi identità di genere e orientamento sessuale considerate “non conformi”» dovrebbero essere inquadrati, a mio avviso, in un contesto politico ed economico sfaccettato.
Per me, antifascista e femminista della prima ondata, certi principi erano chiari e inequivocabili, oltreché chiaramente sanciti dalla nostra Costituzione. L’attuale quadro politico-sociale-economico mi induce però a farmi una domanda: fino a quando l’humus nel quale sono cresciuta, i valori nei quali ho creduto, saranno garantiti dalla nostra Carta costituzionale?
I segnali non sono per niente buoni. A colpi di decreto ogni giorno un pezzo della nostra libertà ci viene sottratto – penso, per esempio, al D.lgs. 188/2021 che affida al solo procuratore capo la possibilità di informare i media, e dunque i cittadini, circa i procedimenti giudiziari in corso. Tale restrizione, tutta italiana, oltre a non essere presente nella direttiva UE 2016/343, limita fortemente il diritto di noi cittadini a essere informati. Tuttavia a rendersene conto sembrano essere in pochi.
Con particolare riferimento al diritto di autodeterminarsi, voglio qui soffermarmi su alcuni fatti che considero emblematici, ciascuno a suo modo, del clima coercitivo, ipocrita e oscurantista che stiamo vivendo.
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, scende dall’aereo che l’ha portata in visita in Cina tenendo per mano sua figlia.
In Italia la maggior parte delle donne fatica a conciliare maternità e lavoro, tanto che sempre più donne rinunciano ad avere figli, a meno di non avere un posto al nido pubblico e i soldi per una tata in caso di emergenza, o una famiglia pronta a tamponare le urgenze. Banale, ma è così. Senza contare il divario salariale che ancora persiste, a parità di mansioni, tra uomini e donne, e che rende la possibilità di pagare un nido privato praticamente una chimera per molti. Che cosa ha quindi voluto comunicarci la Presidente del Consiglio? Che se lei può, anche le comuni mortali possono? È un messaggio fuorviante, lontanissimo dalla realtà del lavoro e della condizione femminile nel nostro Paese. E, dal mio punto di vista, anche offensivo nei confronti di tutte quelle donne che per conciliare lavoro e famiglia, mettere insieme pranzo e cena, fanno i salti mortali.
“Il mondo al contrario”
Delle tante, voglio riflettere su una affermazione dell’Autore de “Il mondo al contrario”, e cioè quella relativa agli omosessuali, che non sarebbero “normali”. Perché il generale Roberto Vannacci si sarebbe premurato di scriverne, con modalità “da bar” qualsiasi tra l’altro? Qual è il suo problema? Che l’omosessualità non debba essere riconosciuta alla pari delle unioni eterosessuali per quanto attiene alla possibilità di formare una famiglia e poter avere dei figli?
Personalmente non mi interessa l’orientamento sessuale di una persona, perché dovrebbe? Ognuno è libero di essere quello che è, che vuole essere. È la Costituzione a sancirlo, la stessa Costituzione che il generale in questione ha giurato di rispettare prima che di far rispettare. Per quanto riguarda, poi, la possibilità per le coppie omogenitoriali di avere dei figli, dal mio punto di vista la ritengo un diritto alla pari di quello delle coppie eterosessuali. Non credo, infatti, che un eterosessuale possa rivendicare per sé, ipso facto, una patente “naturale” di maternità e paternità. Si leggesse, il generale ora parlamentare europeo, le statistiche in merito ai maltrattamenti in famiglia.
La II Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia, pubblicata dal Dipartimento per le politiche della famiglia e realizzata da Terre des Hommes e Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) per l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza tra luglio 2019 e marzo 2020 su dati del 2018, rende noto quanto segue:
«Ad aprile 2021 sono 401.766 i bambini e ragazzi presi in carico dai servizi sociali in Italia, 77.493 dei quali risultano vittime di maltrattamento.»
«La forma di maltrattamento principale è la patologia delle cure (incuria, discuria e ipercura), di cui è vittima il 40,7% dei minorenni in carico ai servizi sociali, seguita dalla violenza assistita (32,4%). Il 14,1% degli under 18 è invece vittima di maltrattamento psicologico, mentre il maltrattamento fisico è registrato nel 9,6% dei casi e l’abuso sessuale nel 3,5%.»
«Altri dati rivelano che l’intervento dei servizi sociali risulta più frequente al Nord che al Sud e nel 65,6% dei casi ha una durata maggiore di 2 anni.»
Non credo proprio che una coppia gay, con tutti gli ostacoli che il nostro ordinamento giuridico in materia pone, qualora riuscisse ad avere un bambino, lo sottoporrebbe a maltrattamenti. O almeno, non più di una coppia eterosessuale che si trovi a essere in una condizione di infertilità.
Ma il mondo sta andando davvero al contrario: 401.766 sono stati i bambini e i ragazzi presi in carico dai servizi sociali nel 2021, circa 500.000 sono stati i voti che il generale Roberto Vannacci, con le sue facili e superficiali affermazioni populiste, si è messo in saccoccia alle ultime elezioni europee.
I “Pro vita”
Mercoledì 7 agosto, mentre entravo all’ospedale di Lodi, ho visto all’esterno un gruppo di manifestanti “Pro vita”.
Il mio primo voto, a diciotto anni, è stato in occasione del referendum sull’aborto. Ed è stato un voto a favore. Oggi voterei ancora così. Ci siamo dimenticati di quante donne sono morte a causa di un aborto clandestino? Ci siamo dimenticati delle cliniche private dove i cosiddetti “Cucchiai D’oro” praticavano clandestinamente l’aborto per chi poteva pagare? Quante donne sono andate ad abortire all’estero? Vogliamo tornare indietro? Chi fa obiezione di coscienza ne ha tutto il diritto, ma stia fuori dalle strutture pubbliche. Chi ha avuto un figlio o lo ha adottato, sa cosa significa prendersi cura di un bambino, di più bambini. Sa cosa significa crescerli. La vita è vita solo se è una scelta e le scelte, appunto perché scelte, non possono essere imposte.
Ecco, è il tipo di vita che vogliamo, il discrimine. Ci accontentiamo di sopravvivere in qualche modo, subendo in silenzio, o decidiamo di denunciare la falsità, l’ipocrisia, la violenza che stanno montando da tutte le parti?