A proposito di FCA (Fiat Chrysler Automobiles) – sede legale in Olanda e fiscale nel Regno Unito – e della sua richiesta alla pubblica Sace, previa autorizzazione del Tesoro, di fruire della garanzia statale pari all’80% di un credito da 6,3 miliardi erogato da Intesa Sanpaolo, da usare per le attività italiane (“decreto Liquidità”), tutti stanno parlando e scrivendo. Media pro (conflitto di interessi?) e media contro.
Da parte mia, voglio solo aggiungere un fatto riguardante FCA, di cui pochi, o forse nessuno, sta invece dando conto.
Nei confronti delle società Fiat – Chrysler Automobiles e FCA US LLC (collettivamente FCA), nel gennaio 2017 l’EPA (United States Environmental Protection Agency) ha emesso, infatti, un avviso di violazione del Clean Air Act, cui ha fatto seguito nel maggio dello stesso anno una denuncia da parte del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.
Cosa avrebbe fatto FCA?
Non avrebbe divulgato, come invece previsto dalla legge, il software di gestione del motore di alcuni veicoli diesel leggeri venduti negli Stati Uniti.
Cosa significa questo?
Che il software non divulgato avrebbe provocato un aumento delle emissioni di azoto (NOx).
Sul sito dell’EPA leggo che il 10 gennaio 2019 gli Stati Uniti e la California hanno annunciato «a settlement agreement to resolve the alleged violations».
Tralascio qui i dettagli della vicenda. Chi volesse approfondirne gli sviluppi, può visitare il sito dell’EPA, in particolare ai seguenti link:
https://www.epa.gov/fca/announcements-fca-violations
Tuttavia mi chiedo: oggi come oggi, in tempi di green economy, alla luce di questo “dieselgate” non sarebbe il caso, se mai ci fosse bisogno di un’altra valida ragione, di riflettere responsabilmente sulle “elargizioni” che il Tesoro italiano si preparerebbe a concedere a FCA?
Perché dovremmo avere fiducia in una società – oggi con sedi all’estero, dopo tutti gli aiuti governativi ricevuti in anni e anni – che in luogo della sostenibilità della sua produzione, sembrerebbe avere più a cuore, come sempre, i dividendi dei suoi soci? Per salvare 55 mila operai, magari pure in cassa integrazione a spese della collettività, e non certo di Agnelli – Elkann?
Non sarebbe più logico agevolare e sostenere finanziariamente i piccoli imprenditori italiani, ora più che mai in difficoltà, e le nuove startup che qui, in Italia, vogliono fare ricerca e creare lavoro in conformità con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030?
Infine: crediamo davvero che FCA si atterrebbe a dei vincoli di investimento, occupazione e non-delocalizzazione delle sue produzioni? Che fine hanno fatto i cinque miliardi di investimenti per il triennio 2019-2021, annunciati dall’amministratore delegato Mike Manley e dal responsabile delle attività europee Pietro Gorlier?
Una risata seppellirà loro o noi?
P.S. Ma guarda po’ che combinazione… Intesa Sanpaolo, la banca che dovrebbe erogare il credito a FCA, è una delle due banche italiane (l’altra è Unicredit) e una delle pochissime banche internazionali che sta ancora investendo nei combustibili fossili. Alla faccia di tutti i goal dell’Agenda 2030. Il che significa, per chi non lo sapesse, alla facciazza nostra. Che a potenti e potentati paghiamo doppio: prima per inquinare, poi per disinquinare.