“Libri per bambini”, “ragazzi”, “giovani adulti”: per me queste etichette non hanno mai significato niente. Ho sempre pensato che “una storia è una storia è una storia” (tanto per parafrasare Gertrude Stein e la sua rosa), e se riesce a catturarmi, ben venga, per chiunque sia stata scritta. E così capita che ogni tanto mi trovi a sollevare un tombino lungo la strada dell’età adulta per calarmi di sotto, nel profondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Per nostalgia. Per curiosità. O anche per semplice affezione nei confronti di qualche ragazzina/o che, ogni tanto succede, s’incapriccia di voler condividere con me una sua lettura.
L’evoluzione di Calpurnia di Jacqueline Kelly è stato un grillo solo mio. In quarta di copertina si paragonava la protagonista undicenne del romanzo, Calpurnia appunto, a una «Pippi Calzelunghe nell’America di fine Ottocento». Potevo lasciarmela scappare? Così ho comprato il libro.
Devo dire che l’idea di utilizzare Charles Darwin (e la sua bibbia sull’origine delle specie) come fil rouge per inanellare i capitoli e raccontare la passione di Calpurnia per le scienze naturali, non è affatto male. Come non è niente male l’ambientazione: una fattoria nel Texas a non molti anni dall’abolizione della schiavitù. Il massimo delle stellette, però, va senz’altro alla scrittura: godibilissima, veloce e brillante grazie anche all’ottimo lavoro di traduzione di Luisa Agnese Dalla Fontana.
Quello che invece non va in questa storia è che i personaggi sono stereotipati. Troppo stereotipati. Tanto stereotipati da sembrare fatti e finiti per il botteghino. Ma questa eccessiva semplificazione a me, devo dire, non piace. Mi sembra… sleale. Sì, proprio così: sleale. Quanto al paragone con Pippi Calzelunghe… Be’, immaginando di stare sotto un ombrellone anziché appiccicati al calorifero, potremmo azzardare che Pippi sta al gelato artigianale come Calpurnia a un cornetto di marca.
(Comunque, per dovere di cronaca va detto che L’evoluzione di Calpurnia è già stato pubblicato in quattordici paesi.)
Saliamo d’età – fermo restando che la mia, mentre leggo, è sempre la stessa − e passiamo a un romanzo per ragazzi delle… diciamo scuole medie.
Anna e la sua orchestra è stato scritto da un parrucchiere, il Signor Joseph Joffo, e dio, come sarebbe bello se il mondo fosse pieno di parrucchieri così. Mi spiace che per scoprire la sua vena di scrittore, Joseph Joffo abbia dovuto farsi molto, ma molto male con gli sci, e quindi restare immobilizzato a lungo, ma se per avere Anna e gli altri suoi best seller, tradotti in diciotto lingue (così leggo), ci voleva questa tragedia, non dico di essere grata al fato, però quasi.
Che cosa mi è piaciuto di più in Anna e la sua orchestra? Non è la storia in sé e per sé. Che pure è molto appassionante − ed è la storia, tra parentesi, della madre dello stesso autore. È il modo di raccontarla, questa storia. In prima persona. Ma una prima persona-uomo che dà voce a una bambina, all’inizio, poi a una ragazza e infine a una donna, con una verosimiglianza e una ricchezza di sfumature da non credere. C’è poco da fare, Joffo riesce a sentire come una donna. E che donna! La scrittura potente, che si può respirare tanto è vivida, profumata, piena di musica, tiene bene il peso di una narrazione forte, che si svolge attraverso ben sei paesi (dalla Bessarabia, regione dell’Europa orientale oggi un po’ Moldavia e un po’ Ucraina, fino a Parigi).
… Paesi che io mi sono trovata ad attraversare insieme alla protagonista, con grandissimo stupore per il modo di vedere di questa ragazza e per il mio coinvolgimento. Qui, in questo racconto, non c’è proprio nulla di scontato. C’è la vita. Con i suoi drammi, le sue gioie. E c’è la Storia. Sì, la Storia con la “S” maiuscola, quella di cui tutte le nostre piccole storie fanno parte. Con cui ci si trova a dover fare i conti. Conti che spesso non tornano.
…Ma Anuška è viva, allegra, scatenata. E suona indiavolata il violino. Lo suona fino all’ultima pagina di questo bellissimo romanzo. (E oltre, per fortuna!)
Infine c’è lui, “Bellafaccia” (cercatelo su internet e ditemi se non ho ragione). L’ho pescato da uno scatolone di libri che mi è stato scaricato a seguito di un trasloco di un’amica, ma − l’ho scoperto solo dopo − Bellafaccia è strafamoso in tutto il mondo, con un giro di fan stupefacente anche nel nostro paese.
Jerry Spinelli, alias Bellafaccia appunto, è uno scrittore statunitense di origini italiane che ha il dono di arrivare dritto al cuore del lettore. Ha capacità, acume, misura. Mi ha fatto innamorare di Stargirl. A un certo punto mi sono trovata a parteggiare per Stargirl. Di più: volevo essere Stargirl. Ed ero davvero nel deserto, tra tutti quei cactus.
Il tema del racconto non è precisamente dei più facili da trattare − anticonformismo vs. conformismo − ma Jerry Spinelli lo fa con una delicatezza e una leggerezza che anch’io desidererei tantissimo per me, per le mie dita su questa tastiera. La poesia delle piccole cose… Quei particolari sui quali gli adolescenti si struggono… Queste sensazioni lontane, in Stargirl le ho ritrovate tutte, in tutta la loro intensità.
Anche questo romanzo è scritto in prima persona. La voce narrante è quella di Leo Borlock, penultimo anno delle superiori nella sconfinata e anonima provincia americana: una voce pulita per una scrittura limpida, in grado di trasmettere tra le righe anche il non detto.
(… Ah, e c’è anche un sequel… Per sempre Stargirl. Che non ho ancora letto perché, accidenti, nello scatolone non c’era.)
N.B. La copertina di questo post è un lavoro dell’illustratrice Nicoletta Ceccoli.
I LIBRI…
Jacqueline Kelly, L’evoluzione di Calpurnia, Milano, Salani, 2011, ristampa 2017, pp. 287 (trad. it. a cura di Luisa Agnese Dalla Fontana).
Joseph Joffo, Anna e la sua orchestra, Firenze, Sansoni per la scuola, Collana Fette di Melone, 2002, ristampa 2009, pp. 266 (trad. it. a cura di Marina Valente).
Jerry Spinelli, Stargirl, Milano, Oscar Mondadori, 2002, ristampa 2015, pp. 170, (trad. it. a cura di Angela Ragusa).