È notizia di un paio di settimane fa: “La Zattera”, il suo primo fumetto per Il Sole 24 Ore, ha vinto l’Oro Autori di Immagini nell’omonima categoria. Non solo. La copertina “Quindici Cani” (Einaudi) e le illustrazioni di “Poesie Naturali” (Topipittori) sono state selezionate per l’Annual, rispettivamente nella categoria Editoria ed Editoria Infanzia.
Lei è Marina Marcolin, vicentina, e le sue opere sono pubblicate in tutto il mondo. Collaborazioni con case editrici, magazines, gallerie d’arte: un portfolio flessibile che spazia in diversi campi, caratterizzandosi per una poetica inconfondibile e una ricerca tecnica in continua evoluzione.
Primo fumetto e un oro. Te lo aspettavi?
Assolutamente no. Sono entrata nella storia scritta da Silvia Vecchini cercando di accordare la mia cifra al ritmo narrativo del fumetto, una dinamica che non avevo mai sperimentato prima. Per questa ragione, quando ho saputo del premio, non riuscivo a crederci.
Le tue illustrazioni sono uniche. Non voglio usare aggettivi per definirle, perché credo che la cosa migliore sia vederle. Quando e come hai cominciato la tua attività di illustratrice?
Le prime pubblicazioni sono del 2002, prima all’estero che in Italia. Però io provengo dalla pittura, l’illustrazione è stata un percorso parallelo ma successivo. Mi affascinava l’idea del racconto per immagini, unire l’amore per il disegno a quello per i libri.
Mi immagino la tua infanzia piena di illustrazioni…
In realtà no, non avevo libri illustrati, ma disegnavo moltissimo, come disegnano tutti i bambini. Mi sono iscritta al Liceo Artistico di Vicenza, sede staccata di Schio, perché all’epoca c’erano solo due classi, che per me, timida com’ero, era la condizione ideale. Al Liceo non ho imparato tecniche specifiche e all’Università mi sono poi decisa per Scienze Naturali, a Padova, forse attirata dalla possibilità di avvicinarmi allo studio della natura e al disegno botanico. Non che avessi le idee chiare su una professione in particolare… Quando in seguito ho dovuto abbandonare l’Università per ragioni di salute, mi sono allontanata per alcuni anni anche dal disegno. Ho ripreso piano, prima da autodidatta e poi iscrivendomi a un corso di acquerello tenuto da Toni Vedù, allora direttore artistico del Centro Culturale Ossidiana, qui a Vicenza, il quale successivamente mi ha chiamato a fargli da assistente.
Quindi come sei arrivata all’illustrazione?
È tutto partito dopo avere visto una delle edizioni della Mostra Internazionale di Illustrazione per l’Infanzia che si tiene ogni anno a Sàrmede, in provincia di Treviso. Era il 1999 e d’istinto, senza pensarci su troppo, mi sono iscritta a uno dei loro corsi estivi. Frequentandolo, ho incontrato delle illustratrici che sono poi diventate colleghe, e alcune di loro anche grandi amiche. Credo che questo percorso fosse comunque già dentro di me. A mano a mano che andavo avanti, sentivo l’esigenza di continuare, sentivo di avere trovato il mio modo di esprimermi. È stata anche una maniera per scoprire meglio chi ero, per fare pace con le paure, le ansie, la timidezza. Posso affermare senza timore che l’arte mi ha salvato la vita.
Poi hai trovato la casa… Quanto è stato importante per te trasferirti ad Arcugnano, sui colli, a un passo dal lago di Fimon?
Ho deciso di uscire dalla città sedici anni fa. Volevo abitare fuori, più a contatto con la natura, così mi sono messa a cercare una casa nei dintorni. Ne ho viste tante, finché non ho trovato questa, dove abito. È una casa antica, di pietra, con spazi strani, il bosco vicino… Entrando mi sono sentita subito a mio agio: sembrava una casa predisposta per l’arte. Infatti. Come ho scoperto più tardi, la penultima proprietaria prima di me era un’artista che, guarda un po’ le coincidenze, lavorava pure con la stessa stamperia d’arte con la quale collaboro anch’io: la Stamperia Busato. Nel percorso di vita che stavo facendo, questa casa di Arcugnano è stata sicuramente una tappa importante, che ha giocato un ruolo essenziale anche per l’ispirazione. Il mio primo nido, per esempio, questa “architettura naturale” che è diventata uno dei miei motivi prediletti, da collezione, l’ho trovato proprio qui, nel prato di casa, il primo giorno.
Come sei arrivata a creare il tuo attuale portfolio?
Col tempo, costruendolo tutti i giorni. Visitando le fiere, proponendo i miei lavori agli editori, accettando tante commissioni. Punto sempre alla qualità, ma interagire col mondo esterno, la possibilità di entrare e uscire da realtà differenti, mi piace molto. Sono stata aperta alle occasioni fin dall’inizio. Sono curiosa di libri, di stimoli nuovi… Che mi vengono anche dai corsi di acquerello e dai workshop che tengo sia a Vicenza che in altre parti d’Italia.
Che genere di libri leggi?
Non c’è un genere specifico. Romanzi, saggi, libri di approfondimento artistico… Tutto ciò che, scritto bene, nutre il mio pensiero e le mie visioni.
Pittura o illustrazione: cosa preferisci?
Entrambe. Dipingendo sperimento risultati che spesso trasferisco all’illustrazione.
Sempre acquerello?
L’acquerello è il medium che ho approfondito di più, ma le tecniche mi interessano tutte quante, dall’incisione al disegno all’olio. Tecniche miste comprese.
Ci sono le commissioni e ci sono i progetti personali. Come ti giostri? Scrivi tu le tue storie?
Variando gli ambiti, bisogna darsi da fare parecchio, non ci sono quasi mai pause. Però questo mi fa stare bene, perché mi obbliga a evolvere, facendomi sentire sempre in un “percorso”. Chiaramente, con questi ritmi, per i miei progetti personali non resta molto tempo, procedo lentamente. Parto da un’idea, ma non essendo una scrittrice, di solito si tratta di lavori che non hanno un testo: la scrittura è una professione, non ci si può improvvisare. Nel caso, cerco una collaborazione con chi è del mestiere.
Per la tua esperienza, sono più le illustratrici o gli illustratori?
In senso generale, nel mondo dell’illustrazione forse ci sono più donne che uomini. Ai livelli più alti, i numeri mi sembra si equivalgano.
E i compensi sono gli stessi?
Il problema della retribuzione è una questione di diritti per tutti, donne e uomini. Bisogna evitare di accettare lavori sottopagati, non svendersi, perché tra l’altro si finisce col danneggiare anche i colleghi.
Hai dichiarato di sentirti particolarmente vicina alla poetica di Turner, Wyeth, Rothko e di prediligere, tra le artiste, Artemisia Gentileschi, Mary Cassat e Maria Lai. Pur non entrando nel merito, credo che qualcosa di questi artisti – sto pensando alla Cassat, e a Wyeth e Turner – abbia davvero contribuito a plasmare il tuo stile, sia per la scelta dei soggetti che per la peculiarità delle atmosfere. Quanto c’è, invece, di autobiografico nelle tue tavole?
In quello che faccio metto ogni volta qualcosa di me, un piccolo riferimento. Per esempio in “Quindici Cani”, sulla costa del libro, ho omaggiato di nuovo una cagnolina che vive da queste parti e che mi accompagna sempre nei miei giri per i boschi.
Quando guardo certe tue illustrazioni mi viene in mente il Thoreau di Walden ovvero Vita nei Boschi, un autore e un libro che amo molto… La natura è protagonista della tua poetica al pari degli esseri umani. Nel tuo tratto, così attento, sembra riaffiorare la tua prima passione per le scienze naturali, il disegno botanico…
Il disegno botanico prevede tecniche e percorsi diversi, specifici. Però è vero che un certo approccio indagatore delle cose mi piace molto, che mi piace studiare le forme per poi stravolgerle, ricollocarle.
Gran parte dei workshop che tieni si svolgono infatti all’aperto. Sto pensando ai progetti in collaborazione con Il Masetto e con Giulia Mirandola, ad esempio, dove il Trentino è natura di montagna da dipingere… Ma diventa anche antropologia, come nel laboratorio Non più non ancora. Disegni di case disabitate, una ricerca iniziata nel 2017, nella valle del Terragnolo, e tuttora in corso. Ma chi sono i tuoi allievi?
Sono persone di tutti i tipi, di tutte le età e di tutte le provenienze sociali. Rispetto a qualche anno fa, ho però notato un aumento dell’interesse per l’acquerello da parte dei giovani. Ultimamente questa tecnica è stata infatti rivalutata. Se una volta veniva associata più che altro al paesaggio, adesso è apprezzata come un mezzo espressivo a tuttotondo.
Perfetto anche per il fumetto, appunto. A proposito, pensi di proseguire su questa strada?
Da un lato sì, mi piacerebbe, poi devo vedere: è un terreno nuovo e un conto è una pagina, un conto un graphic novel intero… Ci vuole tantissimo tempo e dedizione… Giustamente.
Per il tuo lavoro viaggi parecchio. Come vivi questa dimensione? Come la concili con la tua attività, con la necessità di sederti a un tavolo e concentrarti?
Se potessi, vorrei viaggiare anche di più, perché col lavoro non c’è soluzione di continuità. Sketchtbook o no, a un certo punto l’osservazione è talmente parte di te, che se anche non disegni concretamente, nella testa disegni sempre.
Preferisci di più osservare, e quindi dipingere, le persone o le cose?
Persone e cose: tutt’e due. La contemplazione e la ricerca del paesaggio mi piacciono, ma mi piace anche indagare l’essere umano. Se ci pensi, siamo tutti paesaggio…
P.S. In copertina: Marina Marcolin, Quindici cani (cover per Einaudi).
Dicembre 18, 2019
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Dicembre 18, 2019
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