Il post-pandemia? 90% fuffa

Una vita nel mondo dell’editoria e poi, nel 2008, il salto: diventare editore, piccolo, ma finalmente editore.

All’inizio di soldi non se ne sono visti, poi pian piano i conti hanno cominciato a tornare. In pari con le spese e anche qualche entrata, poche, ma insomma sembrava che le cose stessero cominciando ad andare per il verso giusto.

A raccontare è Luciano Sartirana, fondatore e anima delle milanesi Edizioni del Gattaccio.

Poi è arrivata la pandemia. Ci ha messo in ginocchio, noi come tanti altri nel mondo dell’editoria. Come Edizioni del Gattaccio esistiamo ancora, pubblichiamo ancora. Ma un libro l’anno, in collaborazione con l’Università Statale di Milano. L’ultimo è un lavoro della sinologa Margherita Biasco, Scrivere e pensare in Cina, che raccoglie una serie di scritti sulla narrativa cinese moderna e contemporanea. Diciamo che oggi come oggi si vive d’altro: coaching letterario, corsi di scrittura, partecipazione a premi…

Qual è stato, per la tua esperienza, l’ostacolo maggiore del post-pandemia?

Il fatto che molte piccole librerie indipendenti abbiano chiuso. Prima, attraverso questo circuito si riusciva a vendere, adesso è parecchio più dura. Appena dopo la pandemia ci sono state anche meno occasioni di fare presentazioni dal vivo, che comunque abbiamo deciso di non fare più.

Partecipate alle fiere di settore?

Lo abbiamo fatto in passato, ma acquistare uno stand, per esempio al Book Pride di Milano, è un costo che va dai mille ai milleduecento Euro. Condividere la postazione con un altro espositore per dimezzare la spesa – cosa che peraltro abbiamo sperimentato – alla fine non si è rivelata una soluzione: né l’uno né l’altro aveva abbastanza spazio per far vedere le sue cose. In giro ci sono dei piccoli festival fatti bene, sto pensando a Inchiostro a Crema o a Micro Editoria a Chiari (BR), e allora lì è più facile. Si tratta sempre di valutare di volta in volta il rapporto costi-benefici.

Mi dicevi che collaborate con l’Università Statale di Milano…

Sì, collaboriamo con ARCUS, che è la storica Associazione ricreativa e culturale della Statale. Oltre ai corsi di scrittura, partecipiamo anche all’organizzazione di un concorso letterario, Ti racconto…, che si propone di selezionare elaborati inediti di 4000 battute al massimo. Siamo alla quarta edizione, ogni anno a tema diverso.

Quando in casa editrice ricevete in lettura una proposta per un libro, come procedete?

Se la proposta è buona, e nel 90% dei casi non lo è, la segnaliamo a qualcun altro. Avere lavorato come lettore tanti anni per Feltrinelli mi ha dato modo di imparare molto: le prime dieci pagine di solito ti dicono già tutto.

Immagino che dopo la pandemia, dopo la reclusione forzata, siate stati inondati di proposte…

La gente scrive più di prima, spera di fare successo. Commerciale, s’intende.

Chi sono quelli che scrivono di più?

Sono soprattutto individui di età compresa tra i sedici e i trent’anni, più donne che maschi. I maschi riescono fare un po’ più chiasso.

I generi?

Le donne si buttano spesso su fantasy, romance, su un mix di questi due generi, infilandoci dentro personaggi che sono convinte possano attualizzare il filone Liala. Un gay non manca quasi mai… Gli uomini si cimentano anch’essi col fantasy, ma con variazioni horror e postapocalittiche. Gialli, noir, polizieschi, che vanno tantissimo, sono un altro terreno di prova, anche se ultimamente ho visto un aumento di interesse per gli intrecci a sfondo storico.

E le scelte delle case editrici?

Sono sempre quelle: pubblicare libri che vendono per pubblicare libri di qualità.

In Italia si legge poco.

L’Associazione Italiana Editori (AIE) riferisce di quattro milioni di lettori.

Sono più quelli che scrivono di quelli che leggono.

Quattro milioni, ma tra l’altro non è detto che siano lettori “forti”.

Alcune case editrici hanno tagliato drasticamente i costi di pubblicazione eliminando figure fondamentali della filiera. Capita di prendere in mano libri pieni di errori o con traduzioni scarse. Chi ha ancora il coraggio di rimanere in questo settore guadagna poco, e di conseguenza la qualità si abbassa.

Mi è capitato di prendere in mano una copia della “Recherche” pubblicata da Newton Compton. L’editing? Inesistente. Tu capisci che ti passa la voglia di leggere.

Se qualcuno ti venisse a chiedere se vale la pena, oggi come oggi, di tentare l’impresa dell’editoria da editore, cosa gli diresti?

Gli direi di cambiare mestiere. Parlando con un amico, direttore commerciale alla Feltrinelli, si faceva qualche calcolo. Attualmente, se uno vuole imbarcarsi in questa avventura deve avere in tasca un capitale iniziale tra i quaranta e i settantamila Euro. Cinque o sei anni di lavoro, se li regge, possono dargli un primo riscontro, in positivo o in negativo. Deve sapere fin dall’inizio, però, che può perdere tutto.

Quali sono, secondo te, le case editrici che lavorano ancora bene nel panorama editoriale italiano?

Ce ne sono. Sicuramente Feltrinelli, ma anche Iperborea, Minimum Fax, l’ottima Adelphi, Marcos y Marcos… Ultimamente si fa notare anche Arkadia Editore.

Che cosa mi dici del fenomeno dell’autopubblicazione?

Conosco qualcuno, che scrive anche decentemente, che riesce a tirar su dei quattrini. Ma è difficile, devi saperti muovere sui social, avere tantissimi follower, ed è comunque un mondo dove trovi di tutto, tanta brutta roba. Può capitare il “caso”, ma è raro. Non basta saper scrivere, ci vuole anche fortuna.

Luciano Sartirana, fondatore delle Edizioni del Gattaccio, è nato il 6 novembre 1957. È ideatore e conduttore di percorsi didattico-formativi in scrittura creativa, drammaturgia e sceneggiatura a Milano e Venezia. È stato lettore per Feltrinelli, direttore di collana per Demetra e consulente di produzione radiofonica con RadioRAI (“Caterpillar”, “Radio Bellablù”). È autore di testi, racconti e recensioni per varie testate web. Tra i suoi lavori, una storia sociale del calcio in Brasile, mai pubblicata prima in Italia, dal titolo Nel settimo creò il Maracanã.

Scorri in alto