Riti di protezione nell’Eden di Ruth Amman

Il mio “giardino segreto” era sofferente. Passeggiando tra le aiuole mi soffermavo pensierosa a osservare la stanchezza dei fiori in bilico sui loro steli e il ritegno degli ortaggi a esprimersi con vigore. C’era un’atmosfera strana. Non si sentivano uccelli né grilli. In compenso, minuscoli moscerini assaltavano ogni lembo di pelle allo scoperto, distogliendomi dalle mie riflessioni di giardiniera. La terra non parlava. Era cupa. Chiusa in se stessa.

Il libro ha una copertina di fronde oltre un arco di pietra. Ancora prima di averlo tra le mani so già che lo comprerò. Si intitola Il Giardino come spazio interiore e l’ha scritto un’analista junghiana, una psicoterapeuta di Zurigo: Ruth Ammann.

Lo apro e per prima cosa lo annuso. L’odore è quello dei sussidiari nuovi. La carta è liscia, i caratteri equilibrati, le fotografie sincere. Leggo le prime frasi delle due Premesse, pilucco qua e là tra le pagine. È lui, è quello che stavo/stavamo cercando. Io e il mio giardino.
I giorni passano. Non leggo, aspetto di compiere il rituale. Le cose belle, le più desiderate, le associo a momenti particolari. A questo libro è legato un grande cambiamento nella mia vita, che avrà luogo tra qualche settimana.

Sul tavolo di cucina coperto da una cerata giallina — un mazzolino di menta selvatica in un bicchiere — finalmente consumo la mia festa: apro il forziere. Sapevo che avrei trovato un tesoro, ma non di questa qualità. Il Giardino come spazio interiore risplende di riflessioni e di spunti. E, come scoprirò in un secondo tempo, è anche un saggio molto “saggio”, della saggezza semplice e solida dei castagni che popolano il luogo in cui vivo.

Mi costringo a prendere carta e penna, e per alcuni giorni copio assorta le pagine che mi colpiscono di più, cioè quasi tutte.

Da architetto, terapeuta, giardiniera e semplice essere umano, Ruth Ammann mi sta guidando alla scoperta di territori solo apparentemente distanti. Parla di giardini reali, di giardini dell’anima, di simboli e archetipi. E perciò di mito e di fiabe. Racconta esperienze personali. Per un certo tipo di approccio mi ricorda la Clarissa Pinkola Estés di Donne che corrono coi lupi. Però il suo alveo culturale è un altro. Dalla lettura del suo bellissimo testo (a tutte le ore del giorno e talvolta anche della notte) scaturiscono nuovi pensieri.

Capisco che uno dei cuori del libro è per me il tema delle “immagini interiori”. Pulsa in modo irregolare finché dura il racconto, ma la sua potenza è tale da farmi fare un balzo in avanti nella comprensione del mio “giardino”.

Secondo la Ammann, il tipo di immagine che definisce la nostra vita sarebbe di fondamentale importanza. Immagini interiori positive sono in grado di sostenerci lungo tutto il cammino della nostra esistenza. Immagini interiori negative possono precipitarci nella disperazione e nella depressione. Niente di nuovo sotto il sole. Ma stavolta la tesi dell’analista svizzera è sostenuta anche dalla neurobiologia − il riferimento è a Gerald Hüther, docente appunto di neurobiologia alla Clinica psichiatrica dell’Università di Gottinga e al suo Die Macht der inneren Bilder [Il potere delle immagini interiori, 2004].

Il giardino concreto, quello dove mi rompo la schiena di giorno, che di sera prima di andare a dormire contemplo illuminato dalla luna, varrebbe da millenni, secondo la Ammann, «come fonte di energia, di speranza, di eros». Sarebbe «il vaso alchemico in cui confluiscono e si uniscono gli elementi più diversi e opposti», «il luogo intermedio tra la coscienza dell’uomo e la sua natura inconscia», il posto dove quest’ultima «può essere resa conscia, trasformata e perciò coltivata».

Le immagini positive…

Servendomi di quattro paletti e un rocchetto di spago traccio un quadrilatero al centro del mio giardino. Creo un recinto ideale entro il quale le streghe «cavalcatrici di steccati» non possano entrare. L’effimera forma geometrica delimita confini che mi riprometto di proteggere attraverso la magia di una qualche offerta − imparo infatti dalla Ammann che a partire dal Paradiso «all’interno del muro si trova un luogo particolarmente sacro, ossia l’Eden, il giardino della beatitudine», e che da sempre esistono «innumerevoli rituali a protezione delle recinzioni».

I giorni si susseguono ancora, come sempre, nel silenzio dei boschi. Le mie «mani creative» sono instancabili. Immagini positive per il giardino interiore e per quello reale, di fronte a casa, prendono forma lentamente ma senza sosta. 

«Se osservate con precisione, la pianta indesiderata o le terribili paure ci diverranno a poco a poco familiari, perdendo così il potere che esercitano su di noi.»

Le parole di Ruth Ammann sono un balsamo. Consolano e restituiscono fiducia. 

Da ossessione, la gramigna diventa finalmente benedizione.

 

Ruth Ammann, Il Giardino come spazio interiore, Coll. Oltre i giardini – Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 152. (Titolo originale: Von Garten und Zwischenwelten; trad. it. a cura di Maria Anna Massimello.)

In copertina: Camille Pissarro, Matinée d’Automne, Femme dans un Verger, Eragny (Orsay) [Detail], 1897.

 

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