Censimento all’italiana

Il 14 ottobre scorso sono tornata in Italia. Mancavo da un mese e mezzo, avevo da pagare delle tasse (guarda caso) e demolire la vecchia Škoda ereditata dieci anni fa da mio padre. Volevo anche vedere la mia famiglia.

Ho avuto fortuna, perché l’ISTAT, se non fossi stata presente tra il 10 ottobre e il 23 novembre, mi avrebbe sanzionato. Perché? Per non essere stata a disposizione, nel periodo predisposto da “codesto” Istituto, per le rilevazioni statistiche di legge, ossia il Censimento permanente.

Tutto è cominciato da un ciclostilato nella cassetta delle lettere. Strano – ho pensato. Ho attivato il “Seguimi”, la posta mi arriva tutta in Germania. Sarà il Sindaco, un’altra delle sue riunioni per via dei lupi, dei boschi da pulire, finanziamenti regionali, europei o chissà cos’altro.

Apro la cassetta per pura curiosità e trovo questo foglio.

 

Leggo e mi arrabbio. Mi arrabbio tantissimo. Mi arrabbio soprattutto per il carattere imperativo dei contenuti. Per l’irrazionalità dei contenuti.

Non sta infatti né in cielo né in terra che io debba rimanere qui, a casa, ad aspettare che un rilevatore munito di tablet e di tesserino di riconoscimento bussi alla mia porta per intervistarmi. Non solo devo ritornare in Germania a fine settimana, ma qui, in questa parte dell’Appennino ligure dove ho vissuto e vivo tuttora, da tempo non c’è quasi più niente: né lavoro, né servizi, poca gente. Piacenza, la città più vicina, è a cinquantasei chilometri, Genova a cento, Milano a centoventiquattro. Per guadagnarmi la michetta io devo spostarmi. Non sempre, certo, visto che lavoro soprattutto via internet, ma spesso. Quest’ultimo anno poi, coi tagli che ci sono stati nel mio settore, l’editoria, ancora di più, tant’è che ho deciso di avventurarmi oltreconfine.

Sono veramente infuriata, ma mi rassegno a chiamare il numero verde dell’ISTAT 800 811 177. Tempo perso. Rimango in attesa a lungo, diverse volte, senza peraltro mai riuscire a parlare con un operatore. Sempre più infuriata, decido quindi che dalla Germania scriverò all’indirizzo di posta elettronica censimentipermanenti.popolazionereale@istat.it per farmi inviare il questionario dell’intervista e poter così ottemperare a questi nuovi obblighi di legge, l’ultima trovata in fatto di semplificazione burocratica nella vita dei “sudditi” di questo Sistema Paese.

Tra una cosa e l’altra arrivo a venerdì 19 ottobre. Scendo a valle per cessare l’assicurazione dell’auto demolita e fare la spesa. Quando, intorno alle 13.00, rientro, nella cassetta delle lettere trovo il seguente avviso.

«Passare in Comune a Coli venerdì», ma venerdì è… oggi!

Telefono al numero indicato. Il rilevatore è lì che mi aspetta, se voglio questo venerdì o il prossimo. Ho un attacco di bile, ma mi contengo: venerdì prossimo non ci sarò, tanto vale andarci ora, in Comune.

In Comune mi spiegano che per le rilevazioni statistiche dell’ISTAT è stato fatto un sorteggio. Per questa zona dell’Appennino, per un anno, ci siamo noi di Coli e un’altra località. Anche i partecipanti al questionario sono stati sorteggiati: io sono tra quelli che hanno fatto Bingo a loro insaputa, e non posso sottrarmi. La cosa buffa è che il famoso rilevatore munito di tablet non può spostarsi dalla sede comunale perché su queste montagne non c’è segnale internet. Dunque, gambe in spalla, cari sorteggiati. Non so se ridere o se piangere: vuoi vedere che quelli dell’ISTAT (che dovrebbero essere i primi a saperlo) non sono al corrente del fatto che in molte zone dell’Appennino siamo tagliati fuori dal mondo?

È l’ennesima buffonata all’italiana – penso. E lo dico chiaro e tondo. Il rilevatore sembra quasi più dispiaciuto di me per cui, per cavarmela il più in fretta possibile, gli chiedo di farmi subito l’intervista, così potrò finalmente tornarmene a casa e mangiare qualcosa.

Ora, a parte il fatto che non è pensabile che una persona normale, che abbia un posto di lavoro fisso intendo dire, debba prendere ferie per rispondere obbligatoriamente a un’intervista dell’ISTAT, ma… il tenore delle domande!

La prima domanda è stata: dove è nata tua madre?

La seconda: dove è nato tuo padre?

La terza: sei cittadino italiano? e via di questo passo.

Dati tranquillamente desumibili innanzitutto, per esempio, dal mio codice fiscale.

La metratura della casa? Esiste un Catasto, no? E che si mettessero in rete, visto che, oltretutto, le tasse sui rifiuti le pago proprio in base ai metri quadrati della mia abitazione.

Sollevo obiezioni, mi sento presa in giro. Mi viene spiegato che l’ISTAT vuole fotografare il Paese reale e censire direttamente le famiglie e le abitazioni a prescindere dalle diverse banche dati.

L’intervista prosegue. Mi viene chiesto come mi sposto, se con l’auto o con altri mezzi, quanto tempo impiego a raggiungere il mio posto di lavoro – il telelavoro non sembra essere contemplato. A molte domande non so proprio cosa rispondere, perché sono domande che presuppongono un Paese statico, domande che potevano andare bene venti o trent’anni fa. Scopro così che non rientro in alcuna categoria. Ne esce un pateracchio. Soldi, tempo, risorse sprecati – penso. E lo dico. Non che serva. Io sono suddito tanto quanto l’impiegata comunale che supporta il giovane rilevatore che mi sta intervistando con il suo tablet, inservibile fuori da questo ufficio.

La situazione è surreale. In Germania puoi addirittura votare per posta – ne sono stata testimone proprio qualche settimana fa, in occasione delle ultime elezioni in Baviera. Se il giorno delle votazioni ti devi assentare per lavoro o per altre faccende tue private, in Germania hai la possibilità di esercitare i tuoi diritti semplicemente imbucando una lettera con le tue preferenze presso il “rathaus” (municipio) della tua zona, ed è fatta. In Italia, al contrario, ti sanzionano se non te ne stai a casa a rispondere a un questionario totalmente inutile, perlomeno nel mio caso. Che poi non si riesce a capire perché, invece, per quanto riguarda l’evasione fiscale, pari all’ammontare di una “manovra”, chi dovrebbe individuare e perseguire non riesca mai a farlo fino in fondo, il proprio dovere. Tanto che ormai da noi pagare le tasse non è più la norma, anzi! Se le paghi fino all’ultimo centesimo, come la sottoscritta, sei proprio un fesso. E per questo ti tartassano ancora di più.

Il rilevatore conclude chiedendomi se sono disposta a lasciare il mio numero di telefono, nel caso quelli dell’ISTAT volessero controllare il suo lavoro, cioè il fatto che lui, l’intervista, l’ha davvero fatta (!!!).

Il numero l’ho lasciato. Quelli dell’ISTAT, però, non si sono fatti vivi.

 

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